Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà  – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA

Francesco Cesare Casula: Il medioevo

 

In realtà, ogni giudicato (“logu”) era un regno sovrano (non recognoscens superiorem), con proprie frontiere a salvaguardia dei propri interessi politici e commerciali, con proprio demanio (“rennu”), proprio parlamento (“corona de logu”), proprie leggi (“cartas de logu”), proprie cancellerie, propri emblemi, propri simboli statali, ecc.

Fin dall’indomani della costituzione della propria statualità ognuno dei quattro giudicati sardi s’indirizzò verso scelte culturali differenti dando vita ciascuno ad una propria distinta nazionalità. Ciò vuol dire che innanzitutto i popoli dei regni di Cagliari, Torres, Arborea e Gallura divennero stranieri (“esitizos”) gli uni per gli altri, al pari dei “terramagnesi“ che potevano arrivare dall’Italia, dalla Francia o da qualsiasi altra parte del continente europeo. E, così come stava accadendo sul continente europeo, anche in Sardegna si vennero formando le Nazioni, con propria storia, propria arte, propria scrittura, propria lingua.

È in quel momento, per esempio, che il “volgare” sardo si diversificò nelle quattro varianti nazionali chiamate: cagliaritano (o campidanese), logudorese, gallurese e arborense (oggi, quest’ultimo, appena individuabile nella cosiddetta “zona grigia” attorno ad Oristano). Fu allora che ogni stato assunse, in libertà politica, i modelli stilistici a lui più congeniali, e sorsero le chiese di stile pisano nei giudicati dove furono chiamate, a pagamento, maestranze toscane, oppure di stile vittorino in quei luoghi dove fu privilegiata la colonizzazione marsigliese, ecc. (questo, ovviamente, senza intaccare l’autonomia dei governi committenti, né tantomeno sminuire il valore culturale dei sardi i quali, secondo noi, oltre che nella scelta del modello intervenivano nel prodotto artistico adattandolo al proprio gusto e al proprio ambiente).

Sulla civiltà giudicale, in massima parte ancora da scoprire e da esaltare, ci sarebbe lo stesso da scrivere moltissimo perché fu quadriforme e durò abbastanza a lungo: per Cagliari fino al 1257, per Torres fino al 1259, per la Gallura fino al 1288/98, per Arborea fino al 1410/20.

Purtroppo per ragioni di spazio siamo costretti a trascurare tutte le immagini esteriori del progresso giudicale per evidenziare meglio un aspetto istituzionale importantissimo, che colloca i giudicati sardi fra gli stati più progrediti del mondo d’allora (si pensi che al tempo di Giovanni XV, fra il 958 e il 996, essi erano presi come modello da Mieszko, primo sovrano della nascente Polonia).

Come abbiamo detto, a capo di ciascun giudicato c’era un re (“su judike”), scelto secondo un rigido sistema misto elettivo-ereditario dalla “corona de logu“, un patrimonio deliberante formato dai rappresentanti dei paesi (o “ville” o “biddas”) del reame. Ma, contrariamente agli stati continentali dell’epoca, i giudicati sardi non erano patrimoniali, cioè di proprietà del sovrano, ma superindividuali (o subiettivi) dipendenti – come oggi – dalla volontà del popolo il quale per mezzo dei suoi “procuratores” concedeva al giudice il “bannus” (il potere) e acconsentiva a sottomettersi a lui in cambio del rispetto delle proprie prerogative (“consensus”). In caso di violazione del vincolo il re spergiuro poteva essere barbaramente ucciso dallo stesso popolo in rivolta, come in effetti capitò più volte nel corso della storia giudicale.

Meno belle sono le vicende politiche dei quattro giudicati perché sono fatte di guerre, di discordie, d’affanni e di miserie.

Essendo molto complicate e tutt’altro che lineari, sono difficilmente riassumibili e non hanno ancora trovato uno storico che le abbia esposte con chiarezza e rigore metodologico. L’unico libro scientifico sull’argomento è stato scritto nel 1908, da un lombardo, Enrico Besta; ma anch’esso contiene gravissimi difetti d’impostazione, primo fra tutti quello di trascurare il valore reale dei giudicati e di trattare la storia sarda medioevale come unitaria e subordinata alla generale politica di Pisa e di Genova, le due repubbliche marinare che si contendevano, allora, il dominio del Tirreno.

Effettivamente Pisa e Genova, attorno al Mille, erano in piena espansione commerciale e, insieme a Venezia e ad Amalfi, avevano riguadagnato all’Occidente cristiano il controllo dei mari.

 

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