Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA
Giancarlo Sorgia: Le vicende moderne
Animatore della lotta fu il giudice della Reale Udienza Giovanni Maria Angioy il quale, inviato a Sassari per domare la ribellione, finì per passare dalla parte dei rivoltosi che chiedevano l’abolizione del regime feudale. Ma la ventata rivoluzionaria ebbe termine assai presto: l’Angioy fu abbandonato dai sostenitori e costretto alla fuga ed all’esilio, mentre numerosi suoi seguaci finirono sul patibolo.
Quelle dolorose vicende non parvero intaccare il rapporto di fedeltà nei confronti della Casa Savoia, tanto che Carlo Emanuele IV (1796-1802), trovò generosa accoglienza nell’Isola assieme alla sua famiglia ed alla corte quando nel 1798 fu costretto dagli avvenimenti europei a lasciare i domini di terraferma.
I primi quindici anni del secolo XIX furono un periodo molto difficile per il popolo sardo gravato da nuove imposizioni per le spese della corte e afflitto da ripetute carestie; e non mancarono neppure nuovi fermenti rivoluzionari e sollevazioni che interessarono diverse località della Sardegna, ricollegandosi a quelli della fine del secolo precedente.
Di particolare rilevanza per le motivazioni che lo animarono, fu certamente l’episodio cagliaritano del 1812. Ne fu appassionato animatore l’avvocato Salvatore Cadeddu il quale, rappresentando elementi politicamente più aperti, si era attestato su posizioni che potrebbero considerarsi in certo senso autonomistiche.
Accuratamente preparato, il piano rivoluzionario coinvolse esponenti della borghesia intellettuale come professionisti, magistrati, docenti e funzionari universitari, ai quali si aggiunsero numerosi artigiani e popolari, preti, militari. Dall’originario piccolo gruppo di amici fidati che si riunivano segretamente in un podere del Cadeddu nella zona di Palabanda, appena fuori della città, si passò in pochi mesi ad adesioni numericamente consistenti, e nell’animo dei congiurati si consolidò la certezza della vittoria. L’impegno dei cospiratori e le cautele adottate per mantenere il massimo segreto, risultarono efficaci e le autorità rimasero all’oscuro di tutto fino alla vigilia dell’azione, fissata per la notte tra il 30 e il 31 ottobre del 1812, quando uno dei congiurati non si lasciò sfuggire una confidenza che doveva risultare fatale. La repressione fu dura e, dopo un processo rapido, senza particolare clamore, furono comminati lunghi anni di carcere e diverse condanne a morte.
La politica di caute riforme volute dai Savoia prosegui in quegli stessi anni, e speciale rilevanza assunse la costituzione a Cagliari della Reale Società Agraria ed Economica che aveva il compito di studiare e proporre soluzioni per il miglioramento ed il rinnovamento dell’economia isolana.
Durante il regno di Carlo Felice (1821-1831), si proseguì con le riforme, e l’atto più importante fu l’editto delle chiudende, un provvedimento che consentiva la formazione della proprietà privata.
Questa legge, forse buona nelle intenzioni, diede luogo ad abusi e usurpazioni che aumentarono la rivalità tra contadini e pastori, tanto che alla fine il governo dovette modificare in qualche misura i criteri della sua applicazione. Altri importanti provvedimenti furono l’impostazione di progetti per la creazione di un sistema viario capace di consentire un più rapido collegamento tra i vari centri dell’Isola e l’appoggio governativo alle industrie e alle manifatture.
Carlo Alberto (1831-1849) continuò con maggiore impegno la via delle riforme, e nel 1837 dispose l’abolizione del regime feudale ed il riscatto delle terre, il cui onere, però, ricadde per buona parte sui Comuni. Tra il 1837 e il 1839, dunque, scomparve il regime feudale, ma le condizioni dell’Isola erano troppo precarie perché il provvedimento potesse essere di immediata efficacia.
I sardi erano ormai ben consapevoli della necessità di innovazioni più profonde; con questa speranza, quando Carlo Alberto concesse negli Stati di terraferma la libertà di stampa e stabilì la libera costituzione dei Consigli civici e provinciali, essi credettero che la strada migliore per un radicale rinnovamento fosse quella di chiedere la fusione con gli Stati continentali, sperando anche in conseguenti benefici economici. Nel 1848 Carlo Alberto sanzionò la fusione, ma subito dopo nell’Isola ci si rese conto della gravità dell’errore commesso.
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