Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA
Giancarlo Sorgia: Le vicende moderne
Anche dopo la proclamazione del regno d’Italia, l’interesse per la Sardegna da parte del governo centrale si mostrò assai tiepido e poco puntuale, mentre si levavano sempre più consistenti le voci di protesta, anche per l’applicazione di pesanti imposizioni fiscali che non tenevano in alcun conto lo stato economico-sociale dell’Isola. Andò quindi assumendo via via consistenza la coscienza nei confronti di quella che ormai veniva definita “questione sarda”, cioè che i problemi della realtà sarda non sempre coincidevano con quelli delle altre regioni italiane, Meridione compreso, e che, quindi, essi potevano essere risolti soltanto da un governo amministrativamente autonomo.
Successivamente all’abolizione del regime feudale acquistò rilevanza il problema dei terreni riscattati e nei quali era stato esercitato da sempre l’antico diritto di ademprivio delle popolazioni per seminare, pascolare e far legna. Nel 1862 lo Stato decise di cedere ad una Società finanziaria italo-inglese circa la metà dei 478.000 ettari di terreni ademprivili come concorso spese per la costruzione dell’impianto della prima linea ferroviaria isolana, mentre il resto venne assegnato ai Comuni per la lottizzazione e la vendita ai privati.
La condotta non lineare e poco corretta della Società appaltatrice dei lavori ferroviari, l’incapacità o l’impossibilità dei Comuni di vendere adeguatamente i terreni a loro assegnati e le speculazioni di vario tipo che ne conseguirono, crearono uno stato di tensione sul quale si innesto, decisa, la protesta delle popolazioni rurali; la reazione più violenta si ebbe a Nuoro nell’aprile del 1868, ed il fatto è ricordato con il nome di rivolta di “su connottu”, proprio per il riferimento all’azione in difesa di un diritto consacrato dalla consuetudine.
Il diffondersi delle idee socialiste specie nelle zone minerarie, portò alla progressiva presa di coscienza fra i lavoratori ed alla conseguente nascita delle Leghe operaie che aprirono importanti vertenze con il padronato sia per chiedere miglioramenti economici e sia, soprattutto, per ottene-
re sostanziali modifiche delle condizioni di lavoro. Alla resistenza degli imprenditori si aggiunse la dura presa di posizione delle autorità di governo che, in occasione di scioperi o manifestazioni di protesta, fecero intervenire pesantemente le forze di polizia.
Nel settembre del 1904, a Buggerru, si ebbe uno degli episodi più gravi; durante uno sciopero si giunse allo scontro aperto, ed ai sassi si rispose con le fucilate con il tragico bilancio di tre operai uccisi e ventun feriti tra manifestanti e soldati.
L’avvenimento ebbe notevole eco non solo in Sardegna ma in tutto il Paese; fu un susseguirsi di manifestazioni di protesta, anche perché alle motivazioni degli operai si aggiungevano quelle della generalità delle popolazioni contro il caro vita che aveva raggiunto valori insopportabili. E la tensione giunse al massimo, provocando una reazione a catena, nel 1906.
Iniziata a Cagliari, con il carattere di sollevazione generale, la protesta si estese a molti centri della Provincia come Nebida e Gonnesa, per interessare, poi, quasi tutta l’Isola.
Un’inchiesta parlamentare sulla situazione delle miniere, votata dopo gli avvenimenti del 1906, ebbe luogo soltanto nel 1911; tuttavia, altro sangue operaio sarebbe stato versato qualche anno più tardi, proprio appena concluso il primo conflitto mondiale.
Sin dal 1919, le difficoltà nella riconversione dall’economia di guerra avevano creato anche in Sardegna situazioni molto difficili con conseguenti manifestazioni popolari contro il carovita, il perdurare del razionamento dei generi di prima necessità, i salari inadeguati. Inoltre, i minatori dell’Iglesiente avevano ripreso una vigorosa azione di lotta per ottenere la riduzione dell’orario di lavoro – che continuava ad essere di dieci ore all’interno e di dodici all’esterno della miniera – il miglioramento delle paghe ed un maggiore rispetto dei diritti dei lavoratori.
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