Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà  – CAPITOLO II – ARCHEOLOGIA E STORIA

Piero Meloni: La Sardegna meridionale nell’epoca punica e romana

 

Fu nell’ambito di questo sfruttamento intensivo e coloniale che fini per crearsi una solidarietà fra ceti abbienti cartaginesi e gruppi gentilizi sardi, chiamati a prendere parte a questo processo economico.

Nel 238 i Romani, profittando di una rivolta di mercenari di Cartagine stanziati nell’isola, ne occuparono i centri più importanti senza incontrare, al momento, alcuna resistenza. Ma subito dopo, e per i decenni successivi, i Sardi condussero una serie di operazioni contro le truppe romane di occupazione creando loro notevoli difficoltà. Nel 215, mentre in Italia il pericolo di Annibale era gravissimo, una grande rivolta interessò la parte più fertile e progredita della Sardegna, avendo come centro Cornus, nei pressi dell’odierna S. Caterina di Pittinnuri. Ampsicora, un grande latifondista sardo-punico, aprì le ostilità e, dopo aver razziato e depredato il Campidano che i Romani non erano, nel momento, in grado di difendere, fu costretto ad accettare battaglia non lontano da Cagliari; il suo esercito fu sconfitto ed il figlio Osto morì sul campo. Ampsicora, visto fallire il suo tentativo audace, ma votato all’insuccesso, si dette la morte. Dopo un assedio di pochi giorni, Cornus veniva conquistata e duramente punita.

Le rivolte dei Sardi continuarono, se pure sporadicamente, durante tutto il periodo della repubblica. Numerosi trionfi furono celebrati dai generali romani sugli isolani, ma questa era solo la prova della dura resistenza dei Sardi contro i nuovi dominatori; ancora agli inizi dell’impero la resistenza era accanita e difficile da debellare sei Romani riconoscevano, allora, che l’isola non era completamente assoggettata e se nel 6 d.Cr. Augusto ne assunse il governo inviandovi truppe che nel 19 furono probabilmente sostituite da 4.000 liberti di religione giudaica per reprimere azioni di brigantaggio, come le definisce la tradizione antica. Se questo era il quadro che riguardava le zone montane, nelle pianure della Sardegna meridionale e centrale la romanizzazione procedeva lenta ed inesorabile e tutta l’isola veniva inserita nella politica di tipo colonialistico adottata da Roma nell’intero mondo provinciale. Tuttavia, pur pagando un prezzo che, come vedremo, fu molto alto, le città sarde nel Il e III secolo d.Cr. divennero centri di vita fervente ove viveva una popolazione mista di Sardi e di Romani, ormai notevolmente integrati, si sviluppavano urbanisticamente accogliendo popolazioni vicine, si abbellivano di edifici pubblici e privati, lastricavano strade e piazze, si davano servizi estremamente efficienti. Nel V secolo inizia la lenta decadenza. Tagliata fuori dai secolari rapporti con la penisola, investita da incursioni di pirati e di Vandali, l’isola finirà per cadere sotto questi ultimi nel decennio fra il 456 e il 466.

Appena ridotta, assieme alla Corsica, alla condizione di provincia nel 227, la Sardegna cominciò a conoscere appieno la durezza dell’occupazione romana che faceva rimpiangere, sotto alcuni aspetti, quella cartaginese. Tutto il suo territorio divenne agro pubblico del popolo romano: in parte esso fu restituito ai vecchi proprietari sardo-punici in forma di usufrutto, in parte fu assegnato a società di appaltatori o a gruppi familiari per il loro sfruttamento.

Questo accadeva soprattutto nella Sardegna meridionale, nelle pianure del Campidano e della Trexenta, destinate a colture granarie. In cambio, gli assegnatari pagavano un canone di affitto, il vectìgal; in più venne imposto all’isola il pagamento di uno stipendium, ossia di una indennità di guerra, distribuito, nel suo carico, fra popolazioni non urbanizzate, assegnatari di latifondi, centri abitati; infine fu esatta la decima parte di tutti i prodotti della terra che, quando le necessità lo richiedessero, fu raddoppiata e la seconda decima pagata a prezzo di requisizione; eccezionalmente l’avidità di alcuni governatori – ci è giunta notizia di M. Emilio Scauro che amministrò l’isola nel 55 av. Cr. -, ne impose una terza. Cosi il grano sardo sano, in molte occasioni, la penuria di cereali che affliggeva periodicamente la penisola o servi ad approvvigionare eserciti nelle zone di operazioni. Le fonti sono ricche di notizie al riguardo e ci fanno intravvedere una economia agricola che cerca sempre nuovi spazi e strappa terre a quella pastorale del centro montano. Durante l’impero è attestata anche la coltivazione della vite.

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