Provincia di Cagliari: Ambiente & Civiltà – CAPITOLO III – CULTURA E ARTE
Giulio Paulis: Storia linguistica dell’area campidanese
L’epoca tardoantica e altogiudicale
Il periodo che va dalla caduta dell’Impero romano all’XI secolo della nostra era è stato di grande importanza per la formazione dell’individualità linguistica del sardo. Purtroppo si tratta di un’epoca su cui non abbiamo molte conoscenze, per la scarsità delle fonti storiche e per la mancanza di scavi archeologici.
La dominazione vandalica (dal 455 ca. al 534) ebbe l’effetto di separare la Sardegna dalla penisola italiana, facendo assumere al latino parlato nell’isola uno sviluppo autonomo rispetto a quello del continente, ma rinsaldando i rapporti con l’Africa settentrionale. Nessuna traccia è rimasta in Sardegna della lingua germanica dei Vandali, se si prescinde, forse dal nome della martora (mártsu, márciu: cfr. gotico marthus) nei dialetti del Sulcis, la regione in cui sappiamo che i Vandali confinarono i Maurusii, Berberi ribelli, che hanno dato il nome ai Sulcitani, oggi chiamati appunto Maurèddus.
Più importante fu l’influsso linguistico esercitato dai Bizantini, succeduti ai Vandali, per vari secoli, nel dominio dell’isola. Rispetto al volgare neolatino che andava formandosi, la lingua greca introdotta dai Bizantini, costituì il modello dell’uso più elevato, che in Sardegna era quello del giure. Sicché i formulari dei più antichi documenti in volgare sardo di area meridionale, emanati dalla cancelleria giudicale, ricalcano formule greco-bizantine; i regoli del giudicato cagliaritano continueranno ad impiegare il greco in iscrizioni votive, sino alla metà dell’XI secolo, e ancora più a lungo i loro sigilli, simbolo della autorità suprema, recarono la leggenda in greco; ci rimane anche una Carta Cagliaritana (1089-1103) scritta in campidanese, ma con caratteri greci.
Vari nomi di battesimo come Alèní ‘Elena’, Malèni ‘Maddalena’, Anastasia ‘Anastasia’, ecc., diffusi nel Campidano, sono di origine greco-bizantina, ed anche una filastrocca popolare, iniziante con le parole angiamò, kilissò, kifanè, cantata a Cagliari ed in altre località della Sardegna meridionale al prete che benediceva le case, testimonia la persistenza di consuetudini bizantine, connesse al rito (gr. akolouthía = srd. kilissò) della benedizione delle acque (gr. hagiasmós = srd. angiamó) che nella chiesa greca si svolgeva in occasione della Epifania (gr. theopháneia = srd. kifanè). Studi recenti hanno individuato tracce dell’apporto bizantino anche in settori del lessico concorrenti la vita rustica.
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